La preservazione dei contenuti ai tempi di ChatGPT
Ho trovato molto interessante un recente articolo di Undark Magazine che affronta lo spinoso tema della salvaguardia dei dati online. Nonostante si dica spesso che “Internet è per sempre”, una realtà che ormai sperimentiamo quotidianamente è che molti contenuti vanno perduti. Le foto che abbiamo condiviso sui social possono sparire se perdiamo l’accesso ai nostri account come pure articoli e più in generale qualunque artefatto digitale può dissolversi nel nulla quando la piattaforma che lo ospita chiude.
Con l’imporsi di strumenti di Intelligenza Artificiale Generativa – ChatGPT e Midjourney in testa – cresce la preoccupazione che il web venga invaso da contenuti generati automaticamente e, soprattutto, di scarsa qualità. Questo flusso incessante rischia di oscurare il lavoro creativo delle persone e rende ancora più complessa la questione di come conservare informazioni realmente utili. Il punto è chi dovrebbe occuparsi di archiviare queste informazioni e mantenerle vive nel tempo?
La situazione è resa ancora più complessa dalla necessità di rispettare i diritti d’autore. Basti pensare a Spotify, che ha speso oltre 9 miliardi di dollari in licenze musicali in un solo anno. Archiviare pubblicamente contenuti protetti da copyright potrebbe comportare costi enormi e problemi legali. Inoltre, i contenuti generati dall’IA spesso riproducono informazioni inesatte o inutili, sollevando dubbi sulla loro reale necessità di essere conservati.
Organizzazioni come la Wikimedia Foundation e Internet Archive stanno facendo il possibile per preservare parti del web, ma si scontrano con limitazioni legali e mancanza di risorse. Per questo motivo, l’autore dell’articolo propone che siano i governi (il riferimento è in particolare a quello USA) a intervenire grazie alle loro capacità finanziarie e al potere di legiferare. In questo modo, potrebbe essere garantita la preservazione della conoscenza collettiva per le generazioni future, riconoscendo l’importanza di aggiornare il modo di intendere le biblioteche all’era digitale.
Un punto di vista sicuramente pragmatico, ma che mi lascia un po’ perplesso sul ruolo – potenzialmente anche censori – che certe istituzioni potrebbero agire.
Qua è possibile leggere l’articolo integrale.